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LE PARAFILIE: INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO

Carlo Rosso 
Professore A. C.  Psicopatologia Sessuale, Università di Torino

Stefano Sanzovo
Dipartimento di Salute Mentale, ULSS n.8, Montebelluna (TV)

NOUMEN, Rivista semestrale di ricerca psicosociale, Anno 16, n. 37, Dic 2007


Introduzione
Le parafilie vengono definite dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali come delle fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti, molto eccitanti sessualmente, che generalmente riguardano o oggetti inanimati; o la sofferenza del soggetto che compie l’atto o del partner, o il coinvolgimento reale o immaginario di bambini o di altre persone non consenzienti. Per essere definito disturbo mentale la parafilia deve durare almeno sei mesi e deve causare al soggetto considerevole disagio o difficoltà interpersonali.
Ma analizziamole una per una. 


Pedofilia
Nella classificazione dei disturbi mentali più usata, il DSM, il termine fu usato per la prima volta negli anni ’80 per descrivere uno specifico insieme di molestatori di bambini con particolari caratteristiche, che sono cambiate nel corso delle varie edizioni.
Secondo il DSM-IV-R, l’ultima edizione, la focalizzazione parafilica della pedofilia comporta attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli). Questo a differenza delle precedenti edizioni ove bastavano le fantasie per essere qualificati come pedofili. Questo lascerebbe ad intendere una sovrapposizione fra disturbo mentale e reato.
Per fare diagnosi di pedofilia il soggetto deve avere almeno 16 anni e deve essere di almeno 5 anni maggiore del bambino. Per i soggetti in età tardo adolescenziale non viene specificata una precisa differenza d’età, e si deve ricorrere alla valutazione clinica, tenendo conto della maturità sessuale.
I soggetti con pedofilia di solito riferiscono attrazione per i bambini di una particolare fascia d’età. Alcuni preferiscono i maschi, altri le femmine, altri ancora ambosessi. Gli attratti dalle femmine di solito preferiscono quelle tra gli 8 e i 10 anni, mentre gli attratti dai maschi di solito preferiscono bambini un po’ più grandi. Predominano però le vittime di sesso femminile.
Le classificazioni distinguono poi tra i tipi “esclusivo” e “non esclusivo”. Il primo è attratto sessualmente solo da bambini; il secondo può esserlo anche da adulti. Il pedofilo può limitarsi a spogliare il bambino, mostrarsi, masturbarsi in sua presenza, accarezzarlo. Altri lo sottopongo a violenza carnale. Queste attività sono generalmente giustificate sostenendo che hanno valore educativo per il bambino, che egli ne ricava piacere sessuale. Non si nega l’atto, ma il reato. Per questo talvolta il pedofilo può minacciare il bambino perché non parli.
Il pedofilo può limitare la sua attività a soggetti della sua famiglia, o ricercare le vittime al di fuori. Alcuni possono sviluppare complicate tecniche per avere accesso ai bambini, quali svolgere un lavoro a contatto con l’infanzia.
Il disturbo inizia generalmente nell’adolescenza e il decorso è di solito cronico, specialmente per quelli che sono attratti dai maschi.

Criteri diagnostici per la pedofilia
A. Durante un periodo di almeno di sei mesi fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli).
B. La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali; o gli impulsi causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali.
C. Il soggetto ha almeno 16 anni ed è almeno 5 anni maggiore del bambino. 

Criteri che presentano alcune perplessità. Se un molestatore dichiara di avere abusato di un bambino una volta sola è un pedofilo? Se un molestatore dichiara che l’atto non gli ha causato nessun disagio o difficoltà interpersonale è un pedofilo?
Chi molesta un maggiore di 13 anni è un pedofilo? Da notare che aumentano sempre più i casi di violentatori di adolescenti. Qualcuno ha proposto di risolvere il problema aggiungendo un’altra categoria diagnostica alle parafilie: lo stupro. In questo caso, il sexual offender risulterebbe affetto comunque da disturbo mentale.
Il problema è considerare il disturbo mentale alla stessa stregua del reato. Se una persona ha molestato un bambino, deve rispondere di questa violenza, indipendentemente da una sua diagnosi. L’essere o non essere un pedofilo è qualcosa che può riguardare il suo eventuale trattamento, ma è indipendente dal reato.
L’incidenza e la prevalenza della pedofilia sono difficili da stabilire. Abbiamo dei dati derivanti dalle denuncie, ma sono sottostimati. Abbiamo dei dati retrospettivi basati su interviste alla popolazione generale. Per esempio, quella del 1988 dell’American Humane Association che ha identificato il 16% della popolazione generale come vittima di abusi nell’infanzia: il 77% donne, l’età media 9,2 anni.
Finkelor dal 1990 ha riscontrato tra gli abusatori una pervasiva mancanza di empatia. Dato parzialmente confermato da Marshall nel 1995: una mancanza di empatia nei confronti delle vittime ma non degli altri bambini, attuando una sorta di negazione dell’azione compiuta. E se risulta che i molestatori erano in buoni rapporti con le loro vittime, ad un’analisi più approfondita si rileva come la confidenza vada scemando con la violenza. Il pedofilo nega e minimizza le sue responsabilità. Crede che i bambini gradiscano fare sesso con gli adulti, anzi che lo ricerchino attivamente. Tende ad abusare delle sue vittime soprattutto se sta attraversando un periodo di stress, ansia o depressione. Ricerca le occasioni per rimanere solo con li bambino. E l’abuso alcolico può ridurre i freni iniziali (Wulfert 1996).
Si può definire il profilo del pedofilo? Gacono in uno studio su carcerati per reato di pedofilia ha rilevato al test di Rorschach elementi comuni quali ansietà, paura, visione distorta nei rapporti interpersonali, dipendenza primitiva, eccessiva fantasia, cronica opposizione, disturbi di personalità quali il narcisistico e l’antisociale.
Le conseguenze negative per le vittime di abuso sessuale nell’infanzia sono serie e di lunga durata. Tra esse vi sono l’abuso di alcool, la tendenza al suicidio e gli acting out sessuali (Favaro e Santonastaso 2007). I pedofili generalmente non riferiscono il corretto numero delle loro vittime, e molti reati sono sottostimati. Molti tendono a ripetere l’abuso, anche dopo una condanna. In un famoso studio su 187 molestatori ben il 42% ha commesso dopo la pena un reato simile in un follow up di 19 anni (Hanson 1993).
Aumenta sempre più il numero di pedofili adolescenti o giovani adulti. In questi casi terapie familiari e di gruppo hanno dato i risultato migliori (van Wijk 2005).
Non tutti i molestatori sono pedofili, e non tutti i pedofili sono molestatori di bambini. Ci possono essere uomini che preferirebbero far sesso con bambini piuttosto che con adulti ma non mettono in atto i loro desideri. Il molestatore può fare sesso con un bambino perché un adulto non è disponibile, per un handicap intellettuale, per un disturbo mentale, per un disturbo di personalità o un comportamento antisociale (Freund 1991).
La pedofilia è spesso in comorbilità con altri disturbi mentali. Raymond in uno studio su 45 pazienti con diagnosi di pedofilia ha rilevato una comorbidità con disturbo da uso di sostanze psicoattive nel 60%, un’altra parafilia nel 53% e una disfunzione sessuale nel 24%.
Svariati sono i lavori sul trattamento dei pedofili, da quelli medici a quelli psicoterapeutici. Quelli medici hanno riguardato l’inibizione ipofisaria tramite la somministrazione di medrossiprogesterone o l’uso di un antiandrogeni come il ciproterone acetato. Recentemente si vanno ampliando studi di trattamento con antidepressivi serotoninergici, che modulerebbero l’ansia e la depressione, spesso presenti nel pedofilo, e l’impulsività.
La psicoterapia generalmente si concentra nel capire le dinamiche del pedofilo: aumentando l’accettazione di responsabilità dell’assalitore; aumentando l’empatia con la vittima; sviluppando il funzionamento sociale, la tolleranza agli stress, l’educazione sessuale.

Una delle più grosse sfide che si trova ad affrontare uno psicoterapeuta di fronte al parafilico è la prevenzione delle ricadute. Secondo gli studi di Pithers il parafilico all’inizio del trattamento mantiene l’astinenza, si sente efficace, ha aspettative che il trattamento abbia successo. Vanno poi identificati i fattori di rischio e bisogna insegnare al soggetto a riconoscerli e a evitarli. Vano evitati i luoghi che possono portare ad un comportamento a rischio: per esempio, il bar può essere precursore di un abuso dell’alcool, e l’abuso dell’alcool può essere precursore di una disinibizione, e la disinibizione può essere precursore della violenza. Le offese sessuali generalmente non sono atti isolati nella vita di una persona. Il pedofilo ha stile di vita, personalità e fattori circostanziali che fanno da sfondo al suo comportamento. Diventa disforico di fronte ad uno stato di privazione, in risposta ad un conflitto, in situazione di stress. Il risultato di questa disforia lo fa entrare in una situazione ad alto rischio che può includere una potenziale vittima. Una sua debolezza è il fantasticare di fare del sesso con un bambino; e una situazione di stress attua la sua fantasia. Insegnare al pedofilo ad affrontare le situazioni ad alto rischio significa anche aumentare le sue capacità di controllo ed adattamento. 


Voyeurismo
Secondo il DSM-IV-R la focalizzazione parafilica del voyeurismo comporta l’atto di osservare soggetti che non se l’aspettano, di solito estranei, mentre sono nudi, si spogliano, o sono impegnati in attività sessuali. L’atto di sbirciare ha lo scopo di ottenere l’eccitazione sessuale, e di solito non viene cercato nessun atto sessuale con la persona osservata. L’orgasmo, di solito indotto dalla masturbazione, può insorgere durante l’attività voyeuristica o più tardi in risposta al ricordo di ciò a cui il soggetto ha assistito. Nella sua forma più grave fare “il guardone” costituisce l’unica forma di attività sessuale. L’esordio del comportamento avviene generalmente prima dei 15 anni. Il decorso è tendenzialmente cronico. Per essere considerato un disturbo mentale l’ideazione o il comportamento voyeuristico deve durare almeno sei mesi causando disagio clinicamente significativo o compromettendo aree importanti di funzionamento del paziente.

Criteri diagnostici per il voyeurismo
A. Durante un periodo di almeno sei mesi fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano l’atto di osservare un soggetto che non se l’aspetta mentre è nudo, si spoglia, o è impegnato in attività sessuali.B. La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali; o gli impulsi causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali. 

Il voyeur passa molto tempo della sua giornata a spiare, anche alcune ore. Oppure cerca un lavoro che gli permetta di dedicarsi meglio alla sua attività preferita, come lavavetri o accompagnatore di cani.
Mooney ha sottolineato come la cosa che in realtà ecciti di più il voyeur non sia tanto l’osservare l’altro quanto la paura di essere scoperto. E secondo questo autore anche la scoptofilia, il triolismo e la pictofilia sarebbero aspetti dello stesso disturbo mentale. A parziale conferma lo studio di Kutchinski che notò che da quando l’uso di materiale pornografico a Copenaghen fu reso accessibile al pubblico in numero di reati di voyeurismo in città decrebbe da 76 a 2 l’anno.
I pazienti spesso riferiscono che il loro più grosso problema è la perdita di controllo. Ad un certo punto si trovano a disapprovare il loro comportamento, ma non possono farne a meno. Ciò che però favorisce il passaggio dall’egosintonia all’egodistonia dei sintomi è generalmente un fattore esterno, come la denuncia o l’arresto. Spesso il voyeur compie infatti alcun reati per arrivare al suo scopo, come violazione di proprietà privata, danneggiamento di beni altrui, atti osceni quali la masturbazione in luogo pubblico (Langstrom 2006).
L’estensione del disturbo nella popolazione è sconosciuta. I dati della letteratura si basano su persone denunciate, ma non rappresentano un campione significativo. In una clinica di Atlanta trattante tutte le parafilie il voyeurismo era rappresentato dal 13% (Abel 1987). Smith, in una revisione della letteratura ha individuato il tipico voyeur come un uomo giovane, di basso livello socioculturale, con piccoli e lievi precedenti penali.
Finkelhor ha rilevato che il 90% dei casi di voyeur arrestati erano uomini. Il restante 10% femminile era descritto come affetto da altri disturbi mentali e da abusi infantili. Tuttavia questo dato potrebbe essere sottostimato. Scrive Meyer: “Il vecchio detto che se un uomo si sofferma davanti ad una finestra per osservare una donna nuda viene arrestato per voyeurismo, ma se una donna si sofferma davanti ad una finestra per osservare un uomo nudo è l’uomo che viene arrestato per esibizionismo, riflette la tolleranza culturale per le attività parafiliche femminili”.
Abel ha notato come i voyeur avevano altre addizionali diagnosi di parafilie. Il 37% era stato coinvolto in violenze sessuali, il 52% in atti di pedofilia, il 63% in esibizionismo, e l’11% in sadismo. Si noti come alcune di queste parafilie siano aggressive, in contrasto con quelle teorie che vorrebbero il voyeur timido ed introverso. Nell’escalation di quei soggetti che sono definiti “pluriparafilici”, oltre al comune riferito abuso infantile, il primo disturbo a svilupparsi generalmente è proprio il voyeurismo. Anche nel voyeur vi sono distorsioni cognitive: vive il suo spiare senza alcun sentimento di colpa, credendo che anche alle vittime piaccia essere spiate.
Iranyi ha descritto tre casi di voyeurismo in cui il concomitante abuso di alcol dava ai pazienti il coraggio di spingersi nell’azione del guardare. L’alcool non era il solo promotore dell’azione, ma infondeva ai pazienti quel tanto di aggressività e sprezzo del pericolo che non sarebbero riusciti ad avere senza un aiuto esterno.
La teoria psicoanalitica vede la perversione come sintomatica di una psicopatologia sottostante che origina da conflitti irrisolti durante lo sviluppo. Freud ipotizza che la perversione possa essere una regressione ad un precedente livello di sviluppo e che serva a prevenire il riemergere del conflitto inconscio. Il Voyeur guarda una donna per notare la vera natura dei suoi genitali e identificarsi con lei. Tuttavia, si rassicura con la masturbazione che il suo pene è intatto e che egli è superiore. Per Stoller il voyeurismo è dovuto al bisogno degli uomini di conservare una distanza tra il proprio sé e la propria madre. Questa distanza è assicurata dall'intima tecnica del guardare.
Il rapporto voyeur – vittima è così distante che appare improprio chiamarlo relazione. Il parafilico evita rapporti stretti, evita rischi emozionali. Il voyeurismo può essere visto come l'estrema espressione del sesso impersonale. La vittima non sa di essere vista: il voyeur ha il completo controllo della situazione e può evitare qualsiasi rifiuto. Hurlbert per queste caratteristiche aveva avvicinato il voyeur al disturbo schizoide di personalità.
La psicoterapia cognitivo – comportamentale è quella che ha raccolto in questi anni i maggiori consensi. Generalmente ci sono obiettivi a breve e a lungo termine. Tra i primi un minimo di ristrutturazione cognitiva finalizzata ad evitare azioni illegali: per esempio, un primo obiettivo può essere quello di fargli capire che è molto meno dannoso masturbarsi a casa propria che non in pubblico. Abel ha raccontato di alcuni successi riuscendo a placare le compulsioni voyeuristiche di alcuni pazienti concentrando le loro pulsioni sulla pornografia. Gli interventi a lungo termine sono caratterizzati dallo sviluppo di relazioni non più superficiali ma improntate alla cooperazione, al rispetto e alla confidenza (Sanzovo 2004). 


Masochismo sessuale
La focalizzazione parafilica del masochismo sessuale comporta l'atto dell'essere fatto soffrire. L'atto deve essere reale e non simulato. La sofferenza può derivare dall'essere umiliato, percosso, legato, o da qualsiasi altra modalità adatta allo scopo.
Alcuni soggetti sono infastiditi dalle loro fantasie masochistiche, che possono essere evocate durante il rapporto sessuale o la masturbazione, ma non agite in altro modo; in questi casi le fantasie di solito comportano l'essere violentati mentre si è tenuti o legati da altre perone. Altri agiscono i propri impulsi da soli o con partner legandosi, pungendosi, procurandosi scosse elettriche, mutilandosi, ecc.
Una forma particolarmente pericolosa di masochismo sessuale definita “ipossifilia” implica eccitazione da deprivazione di ossigeno, ottenuta generalmente con un cappio o un sacchetto di plastica. Talora si verificano decessi accidentali: nei paesi anglosassoni circa uno all''anno per milione di abitanti.
E' probabile che le fantasie masochistiche siano presenti già dalla fanciullezza. L'età in cui cominciano queste attività è generalmente la prima età adulta. Il masochismo è cronico, e il soggetto tende a ripetere lo stesso atto. Alcuni soggetti tendono a dedicarsi ad atti masochistici per molti anni senza aumentarne la pericolosità. Altri invece ne aumentano la gravità nel tempo o quando sono sotto stress; e alla fine possono conseguirne lesioni o anche decessi.

Criteri diagnostici per il masochismo sessuale
A. Durante un periodo di almeno sei mesi fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano l'atto (reale, non simulato) di essere umiliato, picchiato, legato, o fatto soffrire in qualche altro modo.
B. Le fantasie, gli impulsi sessuali, o i comportamenti causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.

Molti individui applicano alcune pratiche masochistiche nella loro vita sessuale. Le fantasie, gli impulsi o i comportamenti, perché siano definiti disturbo mentale, devono sempre causare disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento. Può diventare un problema quando l'individuo non riesce a liberarsene, e ne diventa dipendente: una parte di lui non lo considera solo eccitante, ma oramai indispensabile.
Il masochismo sessuale può essere spesso l'espressione di un altro disturbo mentale. Kernberg ha fatto spesso doppia diagnosi di masochismo e disturbo borderline di personalità.
Non è facile stabilire la prevalenza del masochismo. Secondo Jozifkova le fantasie masochistiche sono comunque più rappresentate nell'universo maschile che non in quello femminile. Il dolore è il core del masochismo, ma deve essere un dolore controllato. Ai masochisti non piace andare dal dentista o schiacciarsi un dito dentro la porta. Spesso nelle pratiche sadomasochistiche la vittima fa un concordato cenno al carnefice quando il dolore diventa troppo forte. Tuttavia è proprio la possibilità della perdita di controllo del carnefice che spesso eccita il paziente. L'umiliazione è un'altra determinante del masochismo: il soggetto tende a perdere il proprio stato sociale per indossarne un altro, inferiore, mimando atteggiamenti tipici di uno schiavo o di un cane.
Per Freud il masochismo deriva dal sadismo: il paziente vuole dominare e ferire, ma è schiacciato dal senso di colpa e la formazione reattiva lo porta a comportarsi in maniera opposta. La colpa è così espiata ed è servita ad evitare l'emergere di conflitti più grandi e meno tollerabili.
Kernberg ha caratterizzato i masochisti come narcisisti che hanno subito un trauma infantile e cercano esperienze per costruire il senso del sé. Essere ferito è un modo per essere notato, per evitare di essere ignorato. Il dolore e l'umiliazione indicano che lui può tollerare cose che gli altri non possono.
Il masochista ricerca il piacere: e nessun trattamento potrà avere effetto se finalizzato alla sola cancellazione della patologia, che porterebbe il paziente all’annullamento del piacere. Per questo il terapeuta dovrebbe dire che alcuni aspetti masochistici possono non essere incompatibili con una vita sessuale normale, ma lo diventano quando causano disagio, problemi coniugali, lavorativi o legali.
La terapia classica del masochismo è quella psicodinamica. Lebe critica il concetto freudiano che lo fa derivare dal complesso di Edipo, proponendo invece come causa della parafilia “la madre interna”, la relazione tra un bambino nei suoi primi anni di vita ed una madre indifferente, possessiva o respingente, con un rapporto deleterio fondatosi prima che il paziente fosse riuscito a differenziarsi da lei, e su questo focalizzare l’intervento terapeutico. Per Waska il paziente masochista si aspetta di esser sfruttato anche dal terapeuta, che invece deve mettere in luce gli aspetti ambivalenti della sua patologia, le sue connessioni con l’aggressività e il sadismo, e destrutturare le sue fantasie patologiche.
Una tecnica elaborata da Rollnick di tipo cognitivo – comportamentale è quella di far elencare al paziente le cose positive e le cose negative dalla sua attività. Queste andranno poi esaminate mostrando innanzitutto empatia per il parafilico, cosa che egli generalmente non è abituato né a dare né a ricevere. Una volta analizzate le attività che il masochista considera positive, deve aiutarlo a rilevare gli aspetti negativi della sua parafilia. Se il paziente non li trova, il terapeuta lo aiuterà a considerare, ad esempio, i rischi di danni fisici, o di morte, come nel caso di autosoffocamento. Il masochista finisce per concentrare in questa sua attività tutti i suoi interessi sessuali, sviluppandone una vera ossessione, diventandone dipendente; il senso di mancanza di controllo può essere un punto che il paziente elenca tra i negativi, con possibilità d’aggancio. 


Sadismo sessuale
Il termine sadismo è stato originariamente usato nella letteratura medica francese del primo ottocento in relazione agli scritti del marchese De Sade che descrivevano scene di tortura compiute a scopo d’appagamento erotico. Fu ripreso da Krafft Ebing alla fine del diciannovesimo secolo nel suo Psychopatia Sexualis descrivendo l’esperienza di sensazioni sessuali intense fino all’orgasmo prodotte dal punire corporalmente uomini o animali.
Secondo il DSMIV la focalizzazione parafilica del sadismo sessuale implica azioni reali e non simulate in cui il soggetto ricava eccitazione sessuale dalla sofferenza psichica o fisica della vittima. Alcuni mettono in atto i loro impulsi con un partner consenziente, generalmente affetto da masochismo sessuale. Altri li agiscono con vittime dissenzienti: in questo caso è la sofferenza altrui ad essere sessualmente eccitante. E’ probabile che le fantasie sadiche siano presenti sin dalla fanciullezza. L’età di esordio è variabile, ma si stima nella prima età adulta. Il sadismo sessuale è generalmente cronico e di solito la gravità degli atti aumenta nel tempo.

Criteri diagnostici per il sadismo sessuale
A. Durante un periodo di almeno sei mesi, fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano azioni (reali, non simulate) in cui la sofferenza psicologica o fisica (inclusa l’umiliazione) della vittima è sessualmente eccitante per il soggetto.
B. La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali con una persona non consenziente; o gli impulsi o le fantasie sessuali causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali.

Per Kinsey dal 3 al 12% delle donne e dal 10 al 20% degli uomini intervistati ha ammesso di avere avuto delle fantasie sadiche eccitanti sessualmente. Ma questo non significa avere un disturbo mentale.
Hazelwood e Dietz nel 1993 hanno realizzato uno studio su 30 sadici dall’archivio del FBI. Erano tutti uomini, bianchi, il 50% sposati al momento del reato. Il 43% aveva avuto esperienze omosessuali, il 20% comorbilità con un’altra parafilia. Il 45% aveva almeno un divorzio alle spalle e la causa più frequente di separazione era il tradimento della moglie. Il 20% aveva riferito di essere stato abusato sessualmente in minore età. Il 55% era incensurato ed alcuni di loro avevano la fama di “cittadino modello”. Quasi tutti avevano pianificato le loro violenze. Tutti avevano torturato le loro vittime: il 70% erano decedute. Il 60% aveva filmato, registrato, fotografato, o scritto in un diario i propri crimini. Tutti avevano caratteristiche tipiche del disturbo narcisistico di personalità. La grande maggioranza delle vittime erano sconosciute: questo rafforza l’idea del sadico poco coinvolto socialmente e tendenzialmente distaccato. Più di un terzo era stato assistito da un partner durante i reati. Sette di questi erano donne: secondo gli autori erano state sottoposte ad un subdolo processo di seduzione e trasformazione con abusi psicologici, fisici e sessuali fino a diventare appendici compiacenti dei sadici.
Freud dapprima concettualizzò l’associazione di aggressività e sessualità come una combinazione di impulsi mentali. Una possibile spiegazione era la testimonianza infantile alla “scena primaria”, il rapporto sessuale dei genitori. In Aldilà del principio del piacere criticò il rapporto tra libido ed aggressione e, piuttosto che farlo derivare dal principio del piacere, lo legò all’istinto di morte.
La terapia cognitivo comportamentale si focalizza sull’aumentare l’empatia per la vittima e sul cambiare le distorsioni cognitive del paziente. La prevenzione delle ricadute si basa sul far individuare al paziente le situazioni a rischio e aumentare il suo self control sulle pulsioni sadiche (Kirsch 2007). 


Esibizionismo
La focalizzazione parafilica dell’esibizionismo comporta l’esposizione dei propri genitali ad un estraneo. Qualche volta il soggetto si masturba mente si mostra (mentre fantastica di mostrarsi). Solitamente non vi sono tentativi di ulteriore attività sessuale con l’estraneo. In alcuni casi il soggetto è consapevole del desiderio di sorprendere o di provocare uno shock in chi lo guarda. In altri casi, ha la fantasia che chi lo guardi si ecciti sessualmente. L’insorgenza è di solito prima dei 18 anni, anche se il disturbo può cominciare in età più avanzata.

Criteri diagnostici per l’esibizionismo
A. Durante un periodo di almeno sei mesi, fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano l’esposizione dei propri genitali ad un estraneo che non se l’aspetta.B. La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali o gli impulsi o le fantasie sessuali causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali.

Abel, in uno studio coinvolgente 142 esibizionisti, notò che il 50% aveva dichiarato l’inizio del comportamento prima dei 18 anni; e un declino dopo i 40. Generalmente è un disturbo maschile e le vittime sono femmine. Vi sono solo pochi, isolati casi di esibizionismo femminile (Freund 1990). Una significativa percentuale delle vittime è adolescente. Più del 50% dei denunciati è sposato, con educazione e intelligenza nella media. Vengono generalmente descritti come timidi, inibiti, non assertivi (Firestone 2006).
Fenichel descrive la predisposizione all’esibizionismo derivante da una madre controllante e seduttiva. Il padre sarebbe invece emozionalmente assente ed incapace di provvedere ad un’adeguata educazione del limite. L’esibizionismo è quindi visto come una difesa contro l’ansia da castrazione ed una reazione all’universo femminile nel dimostrare che il pene esiste. Il suo narcisismo è una difesa contro i sentimenti di inadeguatezza e di fragile identità. E’ anche un atto di potere , dominanza e disprezzo verso le vittime.
I modelli psicoanalitici e cognitivo – comportamentali non sono poi così in disaccordo: il fatto che l’esibizionismo sia sostenuto da stressors interpersonali e che il suo significato sia di potere, dominanza e ostilità verso le donne sono caratteristiche comuni ai due approcci (Marshall 2001).


Feticismo
La focalizzazione parafilica del feticismo comporta l’uso di oggetti inanimati, i cosiddetti “feticci”. Tra i più comuni vi possono essere mutande, reggiseno, scarpe, stivali, ecc. Di solito il feticcio è necessario per l’eccitazione sessuale, ed in sua assenza vi possono essere disfunzioni erettili. Di solito questa parafilia esordisce nell’adolescenza, sebbene il, feticcio possa essere stato investito di significato particolare fin dalla prima fanciullezza, e tende ad essere cronica (Rosso 2004a).

Criteri diagnostici per il feticismo
A. Durante un periodo di almeno sei mesi, fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano l’uso di oggetti inanimati.B. La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali o gli impulsi o le fantasie sessuali causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali 

I feticisti giungono all’attenzione della magistratura non tanto per violenza nei confronti delle loro vittime, quanto per furti (Reiersol 2006).
Per Freud la selezione del feticcio è determinata da esperienze traumatiche infantili. Il feticcio rappresenta un pene, che protegge l’uomo dalla paura di castrazione, ed anche la ricusazione dello stato femminile senza fallo. Da qui il rifiuto dei veri genitali femminili.
Il modello cognitivo comportamentale associa il feticismo, in alcuni casi, al disturbo ossessivo – compulsivo, ad un impulso che il paziente avverte talora come egodistonico, ma che non riesce a smettere (Junghingher 1997).


Feticismo di travestimento
La focalizzazione parafilica del feticismo di travestimento comporta l’indossare abbigliamento del sesso opposto. Di solito il maschio con questa parafilia fa collezione di indumenti femminili con cui di tanto in tanto si traveste. Quando è travestito, di solito si masturba, immaginando di essere sia il maschio soggetto che la femmina oggetto della sua fantasia sessuale. Questo disturbo è stato descritto in maschi eterosessuali. Non viene diagnosticato quando è all’interno di un disturbo dell’identità di genere. Quando non è travestito, il soggetto passa inosservato. Talvolta costituisce un modo di ridurre una certa sintomatologia ansiosa o depressiva.

Criteri diagnostici per il feticismo di travestimento
A. Durante un periodo di almeno sei mesi, fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, riguardanti il travestimento in un maschio eterosessuale.
B. Le fantasie, gli impulsi sessuali o i comportamenti causano considerevole disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.

E’ importante distinguere il travestitismo dal feticismo di travestimento. Molti uomini si travestono in situazioni ludiche, non erotiche, e questo può benissimo essere associato ad eccitamento sessuale. Altri sono soddisfatti del loro travestirsi e non chiedono ausilio psichiatrico. Questo può non interferire affatto con la loro vita lavorativa, sociale od affettiva.
I pazienti affetti da feticismo di travestimento non sono effeminati nell’infanzia e non manifestano i caratteri adolescenziali del disturbo dell’identità. Da adulti, hanno hobby e scelte tipicamente maschili. Generalmente cominciano i primi atti di travestimento nella tarda adolescenza, in segreto, e nei casi più gravi questa può diventare la loro sola attività sessuale (Langstrom 2005).
Nell’ottica psicodinamica il feticismo di travestimento è visto come un modo di tollerare varie forma d’ansia: da separazione, da castrazione, e così via. L’organizzazione di personalità sarebbe pre- edipica, per questo spesso associata a disturbi di personalità. Aldilà delle teorie, i conflitti madre – figlio sembrano importanti nella patogenesi della patologia. E le terapie che hanno ottenuto più successo, aldilà dell’approccio, sembrano essere quelle di gruppo (Resnick 1992). 


Frotteurismo
La focalizzazione parafilica del frotteurismo comporta il toccare o lo strofinarsi contro una persona una persona non consenziente. Il comportamento di solito si manifesta in posti affollati.
E’ scarsa la letteratura su questa patologia. C’è chi esclude persino la possiblità di questa diagnosi, avvicinando il frotteur al violentatore tout court. 


Sex offenders
E’ una categoria che non rientra nella cetegorie specifiche del DSM. Chi sono i sexual offenders? Una popolazione eterogenea. Possono essere adulti che aggrediscono altri adulti o soggetti prepuberi. Possono essere adulti perpetratori di un incesto. Ma possono essere pre adolescenti o adolescenti; o, in altri casi, anziani.
Il comportamento sessuale abusante è un continuum tra lo sfruttamento e la sopraffazione: può estrinsecarsi in uno stupro, una violenza o una molestia sessuale; ma può anche essere uno sfruttamento o un ricatto sessuale. Nel 1993, la National Task Force of Juvenile Sex Offending, ha definito abusante ogni comportamento sessuale che si attua: a) senza il consenso dell’altra persona; b) in un contesto di sbilanciamento di poteri tra i due contraenti; c) a seguito di un’oggettiva coercizione.
Gli aggressori sessuali presentano le distorsioni cognitive tipiche del parafilico: adattano le informazioni ai loro convincimenti. Generalmente hanno teorie implicite sulle donne, sui bambini, sulle specifiche vittime. Queste distorsioni consentono agli aggressori di continuare ad abusare senza sentirsi in colpa e preservando il senso del loro valore. Hanno timore e scarsa competenza dell’intimità (Rosso 2004b).
Che rapporto c’è tra parafilia e sexual offending? Molti li considerano sinonimi, ma non è così. Non tutte le parafile sono associate al sexual offending. Non lo sono, ad esempio, il masochismo sessuale o il feticismo di travestimento. Mentre invece direttamente associati sono disturbi come l’esibizionismo, il voyeurismo, la pedofilia, il sadismo sessuale, il feticismo o il frotteurismo. Sexual offenders sono anche i violentatori sessuali: il “rape” è oggetto di discussione sull’inserimento o meno nel manuale dei disturbi mentali (Rosso 2005).


Conclusione
Questa la classificazione dei disturbi parafilici, l’inquadramento diagnostico e le teorie sull’eventuale trattamento. Ma ci conviene curarli? Il congresso internazionale del 2005 sui sex offender aveva per titolo: “Sex Offending Treatment is Everybody Business”. Di fronte ad uno stupro, dedicarsi alla vittima è doveroso. Ma tralasciare l’abusante significa massimizzare le possibilità di reoffending. “Nella misura in cui comprendiamo l’eziologia e il mantenimento dei comportamenti sessuali, verremo a capire come meglio evolve il normale comportamento della vita di ogni persona. Se siamo aperti a questo concetto, ogni terapia che portiamo avanti con gli aggressori sessuali può insegnarci molto su noi stessi, sulla nostra storia e il suo significato e, più di tutto, sulla nostra capacità di tolleranza verso le persone, pur non accettando necessariamente alcuni aspetti del loro comportamento (Marshall 2001)”. E questa è una cosa che tutti, non solo gli operatori sanitari, dovrebbero capire.




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